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Cerea, Matteo Faben in mostra a Palazzo Bresciani

Sabato l'inaugurazione della mostra "L'amico bianco"

Sarà inaugurata sabato 3 ottobre presso palazzo Bresciani a Cerea la mostra “L’amico bianco” di Matteo Faben.
“Con questa mostra – spiega l’artista della Bassa – ho l’onore di condividere con voi la mia interiorità, i miei pensieri trasposti su carta o su marmo. Quella che vado a presentare non è una mostra unitaria o monotematica, anzi, ha varie sfaccettature e visioni diverse, che potrebbero esser viste come contrastanti, ma in me, nella mia mente, nel mio corpo si conciliano perfettamente. Ho i miei anni, lo so, non sono molti, ma nemmeno pochi, ho fatto esperienza, sono maturato e spero migliorato, sia dentro che fuori l’ambito lavorativo e questo percorso lo si vede anche dalle sculture, dalla manualità del gesto, del tocco, sto progredendo, ma non smetto mai di imparare, ascoltare, leggere; la vita è un continuo miglioramento, una continua scoperta. E qui, oggi, la presento a tutti voi”.
“Ho sempre considerato l’arte – spiega Faben – un linguaggio universale, quotidiano, capibile e di cui tutti possono avere liberamente la propria opinione rispetto ad un’opera, ma ora questa libertà sta venendo a mancare e allora serve coraggio per esprimere la propria idea, anche se essa si discosta dall’opinione comune. Al giorno d’oggi serve avere il coraggio di essere se stessi, anche nel pensare, non solo nel vivere, ed essere consapevoli delle differenze di vita e visione degli altri, senza opprimerli o sovrastarli”.
“Nella mostra – spiega – ho scelto di utilizzare non a caso il marmo bianco che considero essenziale nelle mie sculture, poiché il materiale e il colore in unione tra di loro sono il grado di far risaltare ancora meglio le sensazioni che voglio trasmettere, la luminosità dei concetti che voglio esprimere e portare alla luce, per renderli più chiari, luminosi”.
La locandina della mostra è iconica del pensiero e del lavoro dell’artista, un motore di una Harley Davidson, un marchio che ha fatto la storia della motocicletta, e qui viene ripreso utilizzando un antico motore di quella casa, come ad indicare un oggetto vecchio, non tecnologico, che si potrebbe definire anche semplice rispetto ai motori attuali, ma che le mani dell’uomo possono riparare senza troppa fatica. Infatti questo motore, questa macchina, è alle dipendenze dell’uomo, che lo conosce, lo apprezza, ma non ne resta schiavo, come con le tecnologie moderne. Guardando questo motore quindi è possibile vedere riflesso il lavoro dello scultore, che usa la tecnologia al minimo e si serve ancora di utensili e macchinari vecchi, creati si sempre dagli uomini, ma che l’artigiano può controllare e che lo aiutano a plasmare la pietra o il marmo secondo il suo volere, creando le opere che potete vedere qui oggi. Qui è l’uomo al centro di tutte le creazioni.
La mostra è divisa in due parti diverse tematicamente, ma complementari nella  visione:
– la prima parte è composta da disegni preparatori nei quali emergono le vere e proprie influenze religiose. Una singolare unione, quasi sincretica, tra due istanze spesso inconciliabili, la modernità e la religiosità, qui intesa nella raffigurazione di diversi passi biblici ed evangelici. Tale connubio potrebbe ricordare gli sforzi di altri artisti di diverse parti del mondo nel cercare di unire la loro religione con il moderno, il contemporaneo e anche con la loro visione dell’arte e della vita, come ad esempio la Salvation Mountain o il Wat Rong Khun, giusto per citarne due estremi. Opere concluse o in continuo mutamento, in cui anche io mi inserisco con questi bozzetti. Nei disegni che presento oggi Gesù si spoglia delle vesti classiche per indossarne di nuove, moderne, attuali, vive, ma restando sempre nel solco delle scritture, senza discostarsi da tali insegnamenti, riproponendoli contemporanei, in un continuum temporale tra oggi e ieri. Non solo il figlio di Dio, ma anche gli altri profeti o santi vengono portati alla contemporaneità in questi disegni, come Mosè che trova l’acqua per noi o San Giorgio con il drago. Tutti gli scritti sacri possono essere portati alla modernità, mantenendo, a mio avviso, la sacralità e l’importanza che gli spetta.

-Nella seconda parte potrete ammirare alcune sculture di vario genere dove il trait d’union è la tematica che potremmo definire della pelle, o del velo. La pelle, che ricopre il nostro corpo e lo difende, lo protegge dall’esterno, in questi sculture è anche il mezzo per opprimere, celare, velare appunto le pulsioni interiori, le sensazioni, i sentimenti. Una sorta di continua lotta tra l’interiorità, che cerca di scappare, e l’esteriorità, che la opprime. Un velo di Maya che ho voluto rappresentare su tutte le parti del corpo, testa, piedi, mani, e che mi ha reso incapace di avere una relazione con la Divinità. Non solo i corpi sono oppressi ma anche i sentimenti lo sono, come l’amore, e pure gli oggetti, bloccati e fissati su canoni regolamentati, classici.
Serve assolutamente liberare tali strutture dalla classicità, dal velo che li opprime, dalla superstizione del volgo( e qui si tolgono le vesti ad Adamo) per cerare di mettere in contatto i sentimenti interiori con la moderna esteriorità.

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