LA STORIA DEL BATTAGLIONE ALPINI VAL D’ADIGE NELLA GRANDE GUERRA raccontata dal Dottor OLINTO DOMENICHINI
Venerdì 4 novembre alle ore 20.45 presso il Centro Polifunzionale “Loris Doriano Romano”Corso A. Fraccaroli VILLA BARTOLOMEA si terrà la conferenza, patrocinata dal Comune di Villa Bartolomea, e organizzata dall’ANPI sezione di Legnago e Basso Veronese.
L’iniziativa, nella Giornata dell’Unità Nazionale e delle Forze Armate, vuole rendere omaggio a un battaglione costituito in buona parte da soldati veronesi il cui valore e sacrificio non fu adeguatamente conosciuto.
Il battaglione alpini Val d’Adige fu costituito nel periodo compreso fra l’inizio della Prima guerra mondiale e l’intervento dell’Italia ed era uno dei 26 battaglioni di Milizia territoriale distinti con i nomi di valli. Questi reparti erano in prevalenza costituiti da militari appartenenti alle classi più anziane e di norma venivano dislocati nelle aree del loro reclutamento. Gli alpini del Val d’Adige infatti, a eccezione degli ufficiali, erano in massima parte provenienti dalle province di Verona e Vicenza.
L’attività operativa del Val d’Adige si articolò principalmente in tre grandi fasi. Nel primo periodo, dallo scoppio della guerra fino ai primi giorni di ottobre 1916, il reparto operò nei settori Baldo-Lessini e Vallarsa-Val d’Adige e per alcuni mesi ospitò fra i suoi effettivi Cesare Battisti. Dall’ottobre 1916 il battaglione venne trasferito sul fronte del Pasubio. Durante questi schieramenti, partecipò a ripetute e sanguinose battaglie. Nella sua terza fase operativa, dall’agosto 1917, il Val d’Adige fu impiegato sulla fronte Giulia, inizialmente sull’altipiano della Bainsizza e poi sullo strategico nodo difensivo del monte Jeza dove, nel corso della battaglia di Caporetto, dovette sostenere l’assalto delle migliori truppe d’assalto tedesche. Nel corso della Grande guerra, il battaglione rimase in linea 23 mesi e 15 giorni; due anni di fronte, nel corso dei quali gli alpini del Val d’Adige si distinsero per combattività e spirito di sacrificio, non sempre ufficialmente e adeguatamente riconosciuti, come amaramente sottolineò nel suo libro di memorie il capitano Giorgio Bini Cima: «I Comandi e le commissioni per le ricompense non hanno saputo e quando seppero non hanno creduto (né Comandi né commissioni erano con noi)».