Cronaca

Suicidi, parlarne a tutte le età è il primo passo per la prevenzione

Il Veneto con 6,85 suicidi ogni 100 mila abitanti è al di sopra della media nazionale che si attesta su 5,6

Parlarne apertamente è una delle prime strategie per prevenire il suicidio. A tutte le età, è importante affrontare il tema perché, diversamente da quello che si pensa, non aumenta il fattore di rischio. Oggi, il gesto estremo continua a essere trattato come un argomento tabù, uno stigma, ma non parlarne o addirittura banalizzarlo è molto più pericoloso. In un momento in cui in Italia e in Veneto cresce il fenomeno specie tra i giovani, essendo tra le prime causa di morte tra i 15 e i 29 anni, è fondamentale fare prevenzione anche se la tematica è molto complessa. Il suicidio, inoltre, ha effetti devastanti e profondi su chi resta, dalle famiglie alla comunità. Tra essi oggi si prendono in considerazione anche gli stessi terapeuti. 

Nel Veneto nel 2022 si sono verificati più di 400 decessi per suicidio; di questi il78% è avvenuto tra gli uomini. La mortalità per suicidio cresce rapidamente con l’età in entrambi i sessi fino ai 45-64 anni.  I tassi sono tendenzialmente superiori al valore complessivo nazionale, in linea con quanto viene osservato nel complesso dell’Italia Settentrionale. (Dati Servizio Epidemiologico Regionale 2024).La nostra regione, con 6,85 suicidi ogni 100 mila abitanti è al di sopra della media nazionale che si attesta su 5,6. A Verona psichiatri, psicologici e psicoterapisti si sono dati appuntamento oggi per approfondire la tematica e discuterne alla Casa di Cura Villa Santa Chiara a Quinto di Valpantena durante il seminario «Anatomia di un atto estremo il suicidio tra pre-vention e post-vention».

Ha portato un saluto il direttore dei Servizi Socio Sanitari dell’ULSS 9 Scaligera e direttore della UOC Dipendenze di Verona, Felice Alfonso Nava che ha sottolineato l’importanza del tema del suicidio in questo contesto storico «una sfida non solo a livello clinico ma anche sociale». 

«Organizziamo ogni anno incontri formativi. Abbiamo deciso di organizzare questo seminario per riflettere e approfondire il complesso tema del suicidio, fenomeno di Sanità pubblica con origine complessa e multidimensionale. L’obiettivo dell’incontro, alla cui organizzazione ha partecipato attivamente il collega psichiatra Fabrizio Colasante, è analizzare le fasi del fenomeno e tutti gli attori che lo subiscono traumaticamente a partire dal paziente, ai familiari e ai terapeuti. Da qui il titolo del suicidio tra pre-vention e post-vention», precisa Marco Bortolomasi, psichiatra e responsabile del Raggruppamento, Casa di Cura Villa Santa Chiara, clinica privata accreditata e centro di riferimento per i disturbi psichiatrici non solo nella provincia scaligera ma anche in Veneto. «Un incontro – conclude Bortolomasi – per provare a capire come non solo poter prevenire il fenomeno, ma aiutare anche le persone nella fase del post evento traumatico che non vengono mai prese in considerazione».

Il suicidio – emerge dal seminario – si conferma come la risultante di molti fattori (biologici, culturali, sociali e psicopatologici) e, come indicato anche dall’OMS, Organizzazione Mondiale della Sanità, la malattia psichiatrica non è l’unico fattore di rischio, pertanto le politiche di prevenzione del suicidio non possono essere confinate al solo ambito sanitario ma devono tener conto anche dei potenziali fattori di rischio a livello di contesto sociale, economico e relazionale del soggetto. Non va, peraltro, sottovalutato il fattore di imprevedibilità dell’atto.«Oggi, più che mai, a tutte le età, specie tra gli adolescenti, va affrontato il tema del suicidio. Abbiamo il dovere di farlo molto precocemente, con i nostri figli e studenti nelle aule scolastiche e universitarie, in famiglia. Sentire che qualcuno è pronto a parlare di come ci si sente quando muore il futuro, la speranza è finita e il suicidio prende forma, abbassa il rischio che il progetto diventi azione, trasformandolo in parola, comunicazione, condivisione», spiega Matteo Lancini, psicologo, psicoterapeuta e presidente della Fondazione Minotauro di Milano nel suo intervento «Soffrire da morire: la presa in carico della suicidalità giovanile in una prospettiva evolutiva».

Aggiunge Lancini: «Oggi è difficile ascoltare cosa hanno da dire gli adolescenti in una società iper-ideale, iper-prestativa dove il dolore, gli inciampi, i fallimenti, la morte stessa e i pensieri suicidari sono banditi». Dalla sua esperienza emerge che «Tra i giovani che tentano il suicidio, solo per pochissimi si tratta del segnale di esordio di una psicopatologia mentre per gli altri è il disperato tentativo di non diventare matti, esattamente il contrario di quello che si dice e si sente. A tutti noi spetta il compito di aiutare questa intenzione comunicativa ad essere detta, espressa per tempo, perfino a sollecitarla prima che diventi troppo tardi, che si trasformi in silenzio agito, violenza, gesto definitivo».

Devono essere considerati anche gli effetti destabilizzanti sulle persone con le quali il suicida era in relazione, cosiddetta post-vention, cioè coloro che sono stati colpiti da un lutto in seguito ad un suicidio. Tra essi la novità è inserire anche i terapeuti.

Isabel Fernandez, psicoterapeuta cognitivo comportamentale, presidente dell’Associazione EMDR Europe Association, Milano, nel suo intervento «I vissuti del terapeuta dopo la perdita di un paziente per suicidio: post-vention, gestione emotiva ed aspetti traumatici» ha detto «E’ un lutto per il terapeuta ma anche un trauma e una situazione da stress estremo che implica a volte un senso di impotenza, di colpa e di fallimento. Ciò può condizionare il lavoro successivo con altri pazienti o ad evitare casi a rischio. È importante quindi per un terapeuta di non sottovalutare questa situazione e avere un supporto da parte di colleghi o di qualcuno che lavora in questo campo in modo specialistico». 

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